La nuova normativa sulla responsabilità “medica” attesa alla prova dei fatti

La nuova normativa sulla responsabilità “medica” attesa alla prova dei fatti
09 Marzo 2017: La nuova normativa sulla responsabilità “medica” attesa alla prova dei fatti 09 Marzo 2017

Il Parlamento ha finalmente approvato quello che potremmo definire il Codice della responsabilità “medica” e della sua assicurazione obbligatoria.

Le novità introdotte dalla cd. legge Gelli sono molte.

Esse incideranno sicuramente su quello che era stato definito un vero e proprio “sottosistema della responsabilità civile”, al quale una giurisprudenza improntata al favor creditoris e ad un’inesauribile creatività aveva finito per conferire uno statuto del tutto peculiare.

I pilastri sui quali si regge il nuovo sistema sono due: il tentativo di tipizzare la responsabilità medica e il principio dell’assicurazione obbligatoria (per così dire “universale”) della r. c. delle “strutture sanitarie o sociosanitarie” pubbliche o private e degli “esercenti le professioni sanitarie”.

L’importanza e la complessità di queste innovazioni fa presagire che l’assestamento dell’intero sistema non sarà breve, né semplice.

Mi limito a pochi esempi.

Sul piano civilistico il legislatore ha recepito alcune indicazioni della giurisprudenza e ne ha ripudiate altre.

Se le “strutture” continueranno a rispondere a titolo contrattuale dei danni causati ai pazienti anche dai medici che vi esercitano la professione senza essere loro dipendenti (com’era pacifico ormai da tempo), costoro invece risponderanno solo a titolo di responsabilità extracontrattuale (salvo che abbiano stipulato un contratto di prestazione d’opera professionale direttamente col paziente).

Rimane così bandita l’inversione dell’onere della prova che, grazie alla teoria della responsabilità “da contatto sociale”, avvantaggiava il paziente nei confronti del medico.

Questo nuovo regime delle azioni civili, enfaticamente dichiarato “imperativo ai sensi del codice civile” (sic!), potrà quindi dar luogo a giudicati diversi nei riguardi della “struttura” e del “medico”.

Potrà infatti accadere che il paziente, facilitato dalla presunzione di responsabilità che caratterizza l’azione contrattuale, ottenga la condanna della prima, ma la sua domanda nei confronti del secondo venga invece rigettata, non avendo egli adempiuto all’onere probatorio che l’azione aquiliana pone a suo carico.

Quid iuris quando, in questo caso, la struttura e/o il suo assicuratore, condannati a risarcire il paziente, agiscano in rivalsa nei confronti del medico?

Probabilmente tradirà le intenzioni del legislatore l’imprudente previsione per cui il risarcimento da liquidare al danneggiato dovrà tener conto (non già solo del danno da questi subito, ma anche) della “condotta dell’esercente” che l’abbia causato.

Verosimilmente previsto per temperare la misura del risarcimento nei casi di “imperizia” dimostrata dal medico che pur si sia attenuto alle “linee guida”, è facile pronosticare che verrà invece impiegato per legittimare qualche sorta di “danno punitivo”, in una prospettiva sanzionatoria della condotta del danneggiante che, in realtà, pare tuttora estranea al nostro ordinamento.

In contrario, sul piano interpretativo, si potrà certo obiettare che non si vede per qual motivo il legislatore avrebbe dovuto aggravare il risarcimento nei soli casi di imperizia, e non in quelli (non meno riprovevoli) di negligenza medica, ma avremmo tutti fatto volentieri a meno dei conflitti giurisprudenziali che è facile immaginare si accenderanno in proposito.

L’obiettivo più ambizioso della nuova legge è comunque quello di creare un “rete di protezione” dai danni da “malasanità” diretto a non mandare alcun danneggiato a mani vuote, attraverso un modello di assicurazione obbligatoria che, nelle sue linee essenziali, riproduca quello sperimentato da quasi mezzo secolo per la r.c. auto.

Il fine è altamente meritorio, i mezzi scelti per conseguirlo sono invece gravidi di interrogativi.

In primis all’obbligo di assicurarsi che graverà sulle “strutture” pubbliche e private, oltreché sui singoli “esercenti le professioni sanitarie”, non si accompagna un obbligo a contrarre degli assicuratori ed una integrazione del Codice delle assicurazioni private, che sarebbero stati davvero indispensabili.

Sotto questo profilo, considerata l’importanza del fenomeno, sarebbe stato necessario modificare l’art. 2 del codice per prevedere uno specifico “ramo assicurativo” per la r.c. medica (diverso dal tredicesimo, quello della “responsabilità civile generale”, nel quale viene oggi a collocarsi) e conseguentemente prevedere una specifica autorizzazione per l’esercizio di questa importante e delicata forma di assicurazione, nonchè una compiuta disciplina di tale esercizio da parte delle imprese.

Decisamente discutibili appaiono poi diverse scelte di natura processuale (o procedimentale) compiute dal legislatore.

L’”azione diretta” del danneggiato contro l’assicuratore della “struttura”, infatti, è destinata a dispiegarsi  contro una pluralità di “litisconsorti necessari” (e non contro uno solo, come  nella r.c. auto): quanto meno l’”esercente” che abbia causato il danno (ma, curiosamente, non il suo assicuratore) e la “struttura” in cui egli operava.

Già questo intreccio di plurimi di rapporti processuali è di per sé suscettibile di dar luogo a notevoli complicazioni di diritto sostanziale e processuale (come evidentemente la triste parabola del “processo societario” non ha insegnato..), che sono destinati ad aggravarsi nel caso il medesimo danno venga imputato a più “strutture” o, come avviene sovente, a più medici, tutti, inevitabilmente litisconsorti necessari.

L’intreccio delle rivalse che ne deriverà, tanto per dirne una, appare già assai intricato nell’ordito normativo della legge, per cui è da chiedersi quanto ancora potrà complicarsi alla prova dei fatti…

Imprudente sembra poi la scelta di assoggettare l’”azione diretta” alla condizione di procedibilità del preventivo esperimento di una “consulenza tecnica preventiva” (art. 696 bis c.p.c.), eletta a panacea del contenzioso in tema di responsabilità medica (seppur in alternativa al procedimento  mediatorio).

La prassi forense, che ha già fatto largo uso di questa ”anticipazione istruttoria”, ha infatti dimostrato come essa si riveli sovente inadeguata alle peculiarità proprie di questa materia.

Da un lato la compressione del contraddittorio difensivo che la essenzialissima fase introduttiva dei procedimenti di istruzione preventiva impone alle parti va a discapito della chiarificazione del thema decidendum e dello stesso thema probandum, diversamente da quello che avviene nella ordinata scansione temporale del giudizio ordinario.

Oltre a ciò, la pratica ha dimostrato come in molti casi l’inevitabile consulenza d’ufficio medico-legale esiga d’esser preceduta da una prova testimoniale o da integrazioni documentali da acquisirsi con i tempi e nell’ordine proprio del rito ordinario, per esser poi resi disponibili al consulente d’ufficio, allo scopo di evitare che l’accertamento tecnico affidatogli divenga una sorta carro messo davanti ai propri buoi...

In tal senso non erano mancate avvedute prese di posizione della giurisprudenza di merito (per tutte Trib. Roma 26.3.2016) che avevano ammonito sull’inadeguatezza della “c.t.u. preventiva” a fronte della complessità di determinate vicende di responsabilità medica.

Che dire poi dell’”obbligatorietà per tutte le parti” della partecipazione a questo procedimento, addirittura sanzionata con l’onere delle spese altrui, che si sostanzia in un “divieto di contumacia” difficilmente compatibile con i principi costituzionali?

Così come appare difficilmente comprensibile l’obbligo imposto alle “strutture” e ai loro assicuratori di avvisare gli “esercenti” coinvolti (ma non i loro assicuratori, chissà perchè?) dell’”avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte”, entro un termine ristrettissimo (dieci giorni), sotto pena di decadenza dal diritto di rivalsa.

Cosa deve intendersi per “inizio di trattative stragiudiziali”: è tale una telefonata dell’avvocato di una delle parti obbligate a quello del danneggiato per chiedergli se è disposto a “trattare il danno”?

E' da domandarsi se una simile intromissione del legislatore addirittura nei rapporti extraprocessuali delle parti non finirà per creare più problemi di quanti possa risolverne...

Mi ero ripromesso di fare solo alcuni esempi, ma mi avvedo che ne ho fatti anche troppi.

Eppure di dubbi ed interrogativi, ad una prima lettura della legge, ne avrei più che altrettanti.

Il che significa che, se il buon giorno si vede dal mattino, ci attende una giornata davvero intensa.

 http://www.ipasvi.it/archivio_news/attualita/2036/DDL%20Responsabilit--.pdf 

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